Negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale (IA ovvero Artificial Intelligence – AI), specie quella generativa, ha cominciato non soltanto a essere tema accademico o di ricerca, ma ha fatto irruzione nelle pratiche quotidiane delle imprese italiane. Secondo l’EY Italy AI Barometer 2025, l’uso dell’AI nel lavoro è passato dal 12% del 2024 al 46%.
Buona parte del management aziendale segnala benefici concreti in termini di riduzione dei costi e aumento dei profitti.
Tuttavia, questi trend non dicono tutto: ci sono differenziazioni ampie per settore, per dimensione dell’azienda, per distribuzione geografica. E soprattutto, fra ciò che si dice di voler fare e ciò che si è davvero pronti a realizzare c’è un divario non trascurabile.
- Punti di forza: dove l’Italia ha margini di vantaggio
- Le sfide che restano
- Italia: pronta o in ritardo?
- Cosa dovrebbe fare l’Italia per essere pienamente pronta
- Conclusione
Punti di forza: dove l’Italia ha margini di vantaggio
- Strategie e politiche pubbliche in fase attiva
L’Italia ha varato strategie nazionali per l’AI, come il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale 2022-2024, che prevede politiche per ricerca, trasferimento tecnologico, formazione.
È nato anche l’Osservatorio nazionale sull’IA nel mondo del lavoro, promosso dal Ministero del Lavoro, per monitorare l’impatto, anticipare i cambiamenti, ridurre il mismatch fra competenze richieste e offerta lavorativa. - Formazione e consapevolezza in crescita
Una parte importante delle imprese italiane sta investendo in programmi forme di formazione/formazione continua per acquisire competenze legate all’AI.
Anche i lavoratori sembrano più attivi nel voler apprendere: tra i manager è alta la consapevolezza del framework etico sull’AI, sebbene tra i dipendenti la conoscenza sia minore. - Adozione veloce in certi settori
Alcuni comparti mostrano un’adozione già molto forte — servizi professionali, scienze della vita, fintech, media (anche se in questi ultimi il valore più basso in alcuni casi). Dove i processi sono digitalizzati o digitalizzabili, le imprese vedono grossi vantaggi.
Le sfide che restano
- Preparazione concreta: infrastrutture e readiness aziendale
Sebbene l’uso dell’AI sia in aumento, molti studi segnalano che solo una percentuale piccola delle imprese è “veramente pronta”. Ad esempio, l’AI Readiness Index di Cisco indica che solo circa l’8-10% delle aziende italiane ha infrastrutture adeguate a sostenere l’AI, gestione dei dati, sicurezza informatica, capacità di calcolo.
Spesso dati e sistemi informativi sono frammentati, i processi legacy non sono aggiornati, e manca una visione organica di integrazione. - Disparità tra management e “base” aziendale
Il management ha in molti casi consapevolezza, risorse e potere decisionale per spingere innovazione, ma i livelli intermedi e i dipendenti fanno più fatica a integrarsi: formazione insufficiente, culturale digitale meno sviluppata, scarsa conoscenza dei limiti, rischi e vantaggi dell’AI. - Differenze territoriali e digital divide
Regioni con infrastrutture e reti deboli, o con minori investimenti pubblici o privati, rischiano di rimanere indietro. Il Mezzogiorno italiano resta una zona critica in molti rapporti sul digitale: la diffusione di competenze digitali di base, la connettività, il supporto istituzionale sono tutti fattori che mostrano disparità geografiche. - Regolazione, etica, equilibrio tra automazione e lavoro umano
L’adozione dell’AI solleva questioni non solo tecniche ma etiche: privacy, trasparenza, bias, impatti occupazionali. Le linee guida etiche e le normative (nazionali ed europee, come l’AI Act) devono essere effettive e applicate. L’Italia ha per questo lanciato consultazioni pubbliche su linee guida per l’implementazione responsabile dell’AI.
Italia: pronta o in ritardo?
Se fosse da dare un giudizio complessivo oggi, potremmo dire che l’Italia è a metà strada. Non siamo all’avanguardia rispetto ai Paesi più preparati, ma non siamo neanche del tutto impreparati. Ci sono segni positivi, ma anche ostacoli seri.
- In termini di adozione, l’incremento è forte, che significa che la consapevolezza e la volontà ci sono;
- In termine di preparazione infrastrutturale, culturale, di competenze, invece, serve accelerare moltissimo;
- In termini di policy e governance, l’Italia ha intrapreso passi importanti — ma serve costanza, coerenza, e capacità di monitorare i risultati.
Cosa dovrebbe fare l’Italia per essere pienamente pronta
- Potenziare la formazione continua, scolastica e professionale, con programmi specifici sull’AI, non solo tecnici (coding, machine learning), ma anche competenze trasversali: pensiero critico, gestione del cambiamento, etica.
- Supporto alle PMI
Molte imprese sono piccole o medie, con risorse limitate. Servono incentivi, consulenza, infrastrutture condivise (es. data center regionali, piattaforme con AI), per abbassare il costo d’ingresso. - Investimenti su infrastrutture di base
Connettività, calcolo, accesso ai dati, sicurezza informatica. L’AI richiede reti stabili, grandi quantità di dati, capacità computazionale che non tutte le zone del paese possiedono. - Regole chiare e applicazione concreta della normativa etica e di regolamentazione
Trasparenza, responsabilità, tutela dei lavoratori, protezione dei dati, rispetto dei bias — non solo sulle carte, ma nella pratica. - Monitoraggio costante e adattamento
L’Osservatorio nazionale è una buona base, ma va alimentato con dati tempestivi, analisi settoriali, geografiche, che possano informare le politiche in modo mirato. - Favorire l’innovazione diffusa, anche regionale
Creare ecosistemi locali: centri di ricerca, università, imprese, startup che collaborano su progetti di AI; fare “incubatori” anche al Sud; attrarre investimenti esterni.
Conclusione
L’Intelligenza Artificiale ha il potenziale per trasformare profondamente il lavoro in Italia — non solo eliminarne alcune parti, ma cambiarne le modalità, generare nuove professioni, far emergere nuove competenze.
Ma “trasformazione” non vuol dire “destino inevitabile”: la qualità di questa trasformazione dipenderà da quanto bene saremo capaci di progettare, regolare, distribuire opportunità e mitigare rischi.
Alla domanda “L’Italia è pronta?”, quindi oggi la risposta più onesta è: in parte, con margini significativi da colmare. Serve fare presto, con decisione e con politiche che non lascino indietro nessuno.